Ricorrenze


29 giugno: Festa dei Santi patroni Pietro e Paolo

La devozione ai santi martiri ha assunto nella Chiesa Ambrosiana delle caratteristiche particolari e dato origine a forme di culto non riscontrabili altrove. Tali particolarità trovano il loro fondamento in S. Ambrogio, che nella sua attività pastorale diede grande importanza al riconoscimento dei resti mortali proposti alla venerazione dei fedeli nelle maggiori basiliche milanesi. Ricordiamo il ritrovamento dei corpi dei santi martiri Protasio e Gervasio, trasferiti nella Basilica dei Martiri accanto ai santi martiri Nabore e Felice e quello del corpo del santo martire Nazario, collocato vicino al corpo del santo martire Celso nella Basilica degli Apostoli. Trovandosi a Firenze fece costruire una basilica per accogliere i corpi dei santi martiri Vitale ed Agricola esumati a Bologna; fece poi venire dalla Val di Non i corpi dei santi Sisinio, Martirio e Alessandro che erano stati là martirizzati e che purtroppo non poté ricevere a Milano perché morì proprio mentre giungevano in città.
Tutte queste vicende furono caratterizzate da una grande partecipazione di popolo, e da una particolare devozione che contribuì a rendere forte la fede dei cristiani ed a favorire la diffusione del cristianesimo.
Così nella cristianizzazione delle campagne, le (nostre) comunità vennero poste sotto la protezione dei Martiri ed in particolare proprio di quelli ritrovati da S. Ambrogio, a ricordare che la Chiesa è edificata sul sacrificio dei martiri.
Ma accanto a questi fatti, la Chiesa Ambrosiana ha saputo trovare una cerimonia liturgica specifica per onorare la festa di un martire. Così in antico nelle feste dei santi più solenni, tutto il Clero metropolitano con l’Arcivescovo si recava in processione dalla Cattedrale alla chiesa della stazione; in processione non si portavano i candelieri ai fianco della croce, ma le candele si ponevano sulla sommità e sulle braccia della croce. Quando la processione giungeva all’ingresso del presbiterio, con le candele poste sulla croce si accendeva il “pharus” (faro), o “corona”; sopra di essa si collocava un anello di bambagia a cui veniva dato il fuoco, che accendeva le singole lampade.
L’uso si è poi trasformato ed ora, nelle feste di un santo martire, titolare o patrono, è un globo di bambagia che viene bruciato dal celebrante con tre candeline poste all’estremità di una verga. Così la cerimonia con cui si brucia il pallone non è un fatto folcloristico ma affonda le sue radici in una tradizione di fede in cui i gesti hanno un loro preciso significato. Le candele che accendono il pallone, ricordo di quelle che un tempo sormontavano la croce processionale, riportano al tema della luce, a ricordo di Gesù che è luce che viene nelle tenebre per illuminarle (Vangelo di Giovanni, “lucernario” nella recita delle Lodi e del Vespero…); il numero delle candele è riferimento alla Santissima Trinità; la posizione del pallone, posto sotto l’arco al confine tra il presbiterio dove sta il celebrante e la navata dove è riunito il popolo dei fedeli ne fa un simbolo del Cristo vero Dio e vero Uomo che porta la salvezza agli uomini illuminandoli con la verità della fede. Il pallone che prende fuoco dalle tre candeline del celebrante è la vita del martire che si consuma per e nella fede ed il colore bianco della bambagia è il colore delle solennità di Cristo alla cui Gloria sono uniti i martiri.

26 dicembre: Presepe vivente

Corre l’anno 1976, ed è ormai tempo d’Avvento. Un gruppo di giovani che vivono in diversi paesi della Brianza riflette sul mistero del Natale: non un evento del passato, ma memoria di una Presenza che è entrata nella storia e si rinnova, nel quotidiano sgranarsi di istanti e di eventi che tessono il tempo dell’uomo, di ogni uomo, come dei popoli.
L’Eterno è entrato nel tempo con il volto di un bambino tra le braccia di sua madre: nel tempo del nostro lavoro e del nostro studio, delle nostre amicizie, amori, interessi, delle nostre gioie e del nostro dolore, nel tempo della nostra capacità di male come del nostro desiderio sempre incompiuto di bene, dell’uomo che sa e del fanciullo ignaro…….nel tempo del nostro vivere e del nostro morire.
Egli si è mostrato. Perciò tutto ci parla di Lui: l’avvenimento più clamoroso e la realtà più insignificante: guardate i gigli del campo…
Egli si è mostrato: ed ha spalancato all’eternità il tempo della nostra finitezza.
Non c’è gesto del nostro quotidiano, o segreto movimento del cuore che non abbia valore eterno: Tu ne porti di costui l‘eterno/ per una lagrimetta…( Dante, Purg. V, 106-107 )
Egli si è mostrato ed ha spalancato all’eternità il tempo della nostra finitezza.
La bocca parla della pienezza del cuore: come dire tutto questo? come parteciparlo, se non rivivendolo, dandogli il nostro corpo e la nostra voce, come accadeva nelle Sacre Rappresentazioni di cui è ricca la nostra tradizione, fin dai lontani secoli del medioevo? Perché, allora, non realizzare un grande presepe vivente, come già faceva, nel primo dopoguerra, a Carate, Zabet, al secolo Luigi Fumagalli, classe 1910?
E dove , se non ad Agliate, là dietro l’antica basilica , intorno alla grotta naturale che si apre tra il prato e le pendici del bosco che sorge sotto l’abitato di Costa Lambro?
E’ nato così, da un gruppo di giovani di Comunione e Liberazione il grande Presepe vivente di Agliate, che da allora, da quel lontano 1977, tutti gli anni si ripete nel pomeriggio del 26 dicembre, giorno di Santo Stefano e, come la prima volta coinvolge, oltre agli aderenti di quel Movimento, che ne curano la complessa organizzaione, anche i gruppi parrocchiali di Agliate e Costa Lambro.

Eventi in Basilica

2Brusà 'l balon 2
10concerto2
Carate Agliate cantico dei cantici